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Prepara i fazzoletti: arriva "Il Piccolo Principe" e non solo

Dopo una mattinata passata a scrivere e dopo un pranzo e primo pomeriggio davvero divertenti insieme alle mie nuove conoscenze whoviane, ieri sera sono andata al cinema col mio ragazzo e mio fratello per vedere Il Piccolo Principe.

Quando si tratta di trasposizioni cinematografiche, parto con molto scetticismo poiché sono ancora scottata dalle ultime 5 di Harry Potter e da Lo Hobbit in generale (soprattutto per quanto riguarda la diabetica storiella d'amore fra il nano e l'elfa e la comparsa di Legolas, entrambi elementi inesistenti nell'omonimo libro).

In questo caso, invece, stesso Mike ha detto "Oh, mai come stavolta non hai rotto le scatole come di solito fai quando si tratta di film tratti dai libri". E come potevo? Su 108 minuti ne ho pianti sì e no 90! Negli altri 18 ho provato a fare qualche battutina, ho riso per qualche scena davvero divertente e sono rimasta ghiacciata da come l'armonia di voci di attori e attrici affermate sia stata interrotta da quella di Siani! Per carità, mi fa ridere in alcuni film del passato, ma secondo me la sua voce in questo film era come la salsa sul gâteau di patate. Oppure è stata messa appositamente per interrompere quell'atmosfera per niente da bambini, chissà!

In ogni caso ho dovuto soffocare le lacrime e il dolore poiché mio fratello incominciava a preoccuparsi. Ma come potevo spiegargli che, nel vedere le scene del nonnino (Antoine de Saint-Exupéry) e della bambina nel parlare della vita oltre alla morte, pensavo a papà? Come potevo spiegargli che le scene dell'ospedale nel film mi riconducevano agli ultimi giorni di vita di papà, quando facevamo la spola fra ospedale, nonna allettata e studio di tuttologia per il maledetto TFA?

Il bello è che, quando Mike fece la notte accanto a papà, era proprio in compagnia dell'omonimo libro e per questo motivo fu pure preso in giro con un'esclamazione del tipo: <<Solo adesso lo leggi? Mia figlia l'ha letto alle scuole medie!>> (e io all'epoca, come adesso, pensai: "ne avesse almeno appreso qualcosa di buono!")

Tralasciando l'aspetto emotivo del film, passiamo alla parte più legata alla trama. Il Piccolo Principe non tratta solo del libro, ma contiene in sé diverse tematiche:

1) la complicata relazione madre-figlia: la prima, facendo enormi sacrifici per portare avanti la famiglia da sola e "con una sua visione della vita della figlia" (cit. bambina), crede che il meglio per la bimba sia accedere alla Werth Academy a ogni costo, persino a costo di dimenticare la spensieratezza dell'infanzia e crescere prima del previsto, come un OGM. La madre vuole il pieno controllo della vita della figlia perché "il tempo è danaro" e "chi ha tempo non perda tempo" a giocare, a scrivere, persino a pensare un mondo diverso dalla Werth Academy. La mania di controllo è evidente nel tabellone su cui nemmeno io, sempre a gestire il mio tempo fra doveri e piaceri, mi ci raccapezzo (infatti lascio sempre degli spazi bianchi per pause ed eventuali imprevisti)! Questa mania si fa crescente quanto l'ansia della perdita del controllo (è un trauma infantile il buttare il giocattolo preferito nella spazzatura, ma per la madre "a mali estremi, estremi rimedi"). La mania di controllo non è un fatto nuovo né purtroppo superato: vi sono ancora mentalità secondo cui la prole deve per forza laurearsi "così la famiglia vede che ci sta un dottore/una dottoressa", altre ancora che tengono la prole sotto la campana di vetro pensando di fare loro del bene (per esempio chi in genere viene iscritt* nelle scuole paritarie) e la società stessa che ci tiene più alla burocrazia che alla dignità umana. Il contabile nel libro e nel film ne è un altro portavoce;

2) per chi l'ha visto e goduto, chiarissimi riferimenti a Metropolis di Fritz Lang (1927) quando la bambina fa un viaggio nel suo monotono e prevedibile futuro, ossia nella città in cui tutt* sono eccellentemente omologat*;

3) l'elogio alla lentezza e alle pause nella costruzione di qualsiasi cosa: il nonnino e la vecchiaia in generale ne sono i portavoce (tranne le vecchie impernacchiate e i vecchi imparruccati che fanno di tutto pur di non mostrare la propria età, persino andare a Uomini e donne!) e la bambina, a sua volta, stanca di quei ritmi pedissequi, se ne fa carico perché la creatività (parola che ne contiene un'altra: VITA) non è a comando, si libra nell'aria se la si lascia respirare. Un altro elogio è quello all'amicizia e alla cura: i ritmi accelerati fanno perdere di vista ciò che è DAVVERO essenziale, cioè dedicare a qualcun*/qualcosa ciò che di più prezioso abbiamo, il tempo;

4) la critica alla società multitasking degli affaccendati: nel film ciò che viene criticato è il dover fare tanto in poco tempo, senza sosta né ripensamenti. Ritmi alla Metropolis per l'appunto! La suddetta mania si traduce, nella mente della bambina, in un mondo in cui la mamma sposta così freneticamente i tasselli su un pianeta, della stessa forma del tabellone multitasking, che non vi è spazio per una pausa, per un dialogo, per un abbraccio;

5) la critica all'ipocrisia del vicinato: tutt* a farsi gli affari tuoi, ma nessun* a condividere i propri con te.

In sintesi, penso che il film abbia mantenuto una giusta dose di fedeltà al libro anche nella grafica, anche se ovviamente il fascino delle lettere stampate sulla carta è insuperabile, come giustamente mi ha ricordato una mia conoscente!

Infine, ho fatto bene a trascorrere parte della giornata in allegria e avrei dovuto arricchire la borsa di fazzoletti: non credevo che il film avrebbe potuto suscitare ancora più lacrime del libro e che tramite esso riuscissi a cacciar fuori tutte le lacrime che non ho versato finora per il lutto più brutto della mia vita. Per questo carico così forte di emozioni ritengo che il film abbia superato il libro.

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