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Lentezza, questa da curare


Premetto che questo intervento è una sorta di sermone anche nei miei riguardi: per quanto impegno mentale e passione ci metta nelle tante cose che faccio, col mio stacanovismo tendo (per fortuna non sempre) a non ritagliarmi del tempo per riflettere, per soffermarmi su ciò che produco fra TFA, le inedite videolezioni di tedesco per principianti e altre attività attualmente minori. Non mi ritaglio/Non mi posso ritagliare del tempo per godere i frutti di esami superati che subito irrompono altri esami, altre consegne, in poche parole tutto ciò che non sia riflessione e lentezza.

Eppure ieri sera mentre ero col mio ragazzo mi sono soffermata su un evento apparentemente banale che mi ha coinvolta fisicamente per poco tempo, ma mentalmente per un bel po', tanto da chiedere un buon consiglio una volta scoccata la mezzanotte del 7 giugno, giorno del mio onomastico.

La scena si è svolta in classe, i protagonisti siamo io e un signore che personalmente mi perturba, di cui non condivido affatto il pensiero della ghettizzazione delle persone diversamente abili, ma che mi ha fatto anche parecchio riflettere (e questo accade quando ti ritrovi di fronte a una persona non banale). Io stavo per chiudere i battenti e catapultarmi fra le braccia del mio ragazzo, quando questi in modo diretto mi chiede, senza discourse markers alcuni: "Hai già finito di scrivere la tesi finale?". Io lì per lì sono rimasta scioccata da questa irruzione, tanto da rispondere sì garbatamente ma con timore. Un'altra domanda diretta mi viene posta, stavolta sulla materia d'esame, e rispondo in modo freddo, se non irritato. Dopo aver ricevuto la mia risposta lui va da una mia collega e conoscente che gli risponde sì in modo garbato, ma cui è seguita una risata prolungata da parte mia e di lei. Come le tante volte in cui io ho cercato di approcciarmi a qualcun* e sono stata derisa alle spalle se non in faccia.

Nell'arco della serata mi sono sentita una schifezza, per quanto abbia ragione a essere indignata di fronte a modi di vedere i disabili come il suo: troppo comodo ghettizzarli, impedendo loro di essere integrati nella società. Certo, questa società non è del tutto sana, casomai il contrario, e tende pure a escluderli quelli considerati "altri" (e io ne sono un esempio lampante), ma ottimisticamente parlando è questa stessa società ad aver bisogno di buoni esempi di vita, e chi meglio di una persona disabile che sorride nonostante gli acciacchi fisici e/o mentali? E chi meglio di un'insegnante che se non riesce, ma quantomeno tenta di far sentire tutti a proprio agio, tenta di porre l'altro in una situazione di non esclusione? Che insegnamento potrei dare se mi comporto così? (vabbè, quest'ultima domanda ammetto che è un'iperbole: c'è gente che si comporta 1000 volte peggio di me e sta "senza pnzier", perché per un evento su 1000 dovrei sentirmi inadeguata io al ruolo per cui ho lottato e sto ancora lottando con tutte le mie forze?)

Ebbene, mi sono sentita una schifezza perché è come se in quel momento fossi divenuta la carnefice della situazione, facendo soffrire una persona che, nonostante i modi, ha cercato di approcciarsi a me, di aprire un dialogo, per quanto utilitaristico e contestualizzato in un contesto di merda quale quello del TFA (tranne per pochissimi aspetti positivi che fortunatamente ci sono).

Ho chiesto un buon consiglio da una cara collega e amica del TFA e mi è stato dato, come desideravo, un buon consiglio, anzi, addirittura il mio cuore mi dice di scusarsi con lui per le reazioni: vedete, non c'è niente di più brutto di venir trattati con freddezza, indifferenza. Oddio, in taluni casi ci vuole (troppo buoni manco si può essere in questa società dove il buono è interpretato al 99% dei casi come fesso), ma non sempre, non in casi come questi.

Chi può negare che lui sia stato a sua volta escluso da tanti giri, proprio come me che mi sono fortunatamente anche autoesclusa da dei giri dannosi alla mia autostima? Chi può negare che quel suo modo così diretto non fosse altro che un tentativo (per quanto impacciato) di uscire dalla propria riservatezza e insicurezza, se non profonda paura del rifiuto?

Ecco, se non ci soffermassimo mai a guardarci dentro, a riflettere su ciò che succede dentro e fuori di noi, non riusciremmo mai a cogliere delle sfumature così dense di vita reale che possono riguardare noi stessi oltre che la persona che ci sta di fronte.

Vivremmo rapporti sterili in chat multiple di almeno 10 persone, ognuna delle quali dice solo la propria senza voler fare approfondimenti su ciò che l'altro vuole trasmettere. E guai a voler ribadire dei concetti o a voler trattare tematiche delicate: se non stai simpatic* al(la) boss di turno passi pure per noios* perché non proponi argomenti "in"!

Vivremmo come isole vaganti, che senza scrupolo scavalcano altre isole con insegne a LED del tipo: "IO MERITO PIù DI TUTTI VOI MESSI INSIEME", "IO SONO IO E VOI NON SIETE UN CAZZO".

Vivremmo come io e Mike viviamo taluni momenti, quando vogliamo aprirci all'altro per uno scambio di pensieri ma ci viene dato picche perché "non siamo alla loro altezza" (fra parentesi, ma chi dice che lo siano loro alla nostra, a 'sto punto?) e/o perché, per ottenere delle briciole, dobbiamo soddisfare nell'immediato delle esigenze ingiuste che niente hanno a che vedere con un rapporto di tipo paritario, di mutuo rispetto e reciprocità.

Insomma, proprio in virtù del mio sogno dell'insegnamento sento la più forte esigenza di coerenza fra ciò che penso e ciò che faccio e dico. Non sono di certo immune da errori, ma perlomeno io ho l'umiltà di rallentare di tanto in tanto, di ritagliarmi del tempo per mettermi in discussione. La lentezza mi rende più profonda di ciò che già sono, per quanto in casi come quello sovrariportato mi possa rattristire (e grazie! Solo chi si crede di essere perfett* non ha rimorsi né rimpianti).

Dobbiamo coltivarlo questo tempo ritagliato dal tran tran degli impegni e dei mezzi di comunicazione, ennesimo specchio delle allodole da un certo punto di vista.

Dobbiamo conoscere noi stessi, curare il nostro io interiore, ascoltare la nostra voce interiore nel silenzio.

Altrimenti non saremmo più diversi di un Harry Potter e Ron Weasley che a primo acchito giudicano Hermione Granger una mera secchiona senza chiedersi se c'è dell'altro oltre a quell'amore sfrenato per lo studio e per la conoscenza: se non fosse stato per lei col cazzo che Harry avrebbe tenuto lezioni private di Difesa contro le Arti Oscure nonostante quasi tutt* gli dessero del bugiardo e pazzo, col cazzo che lui e Ron avrebbero trovato gli altri Horcrux e fatto fuori Voldemort, e tanto altro ancora.

Starei qui a scrivere all'infinito, ma mi si chiudono gli occhi e domani è un altro giorno di studio, videolezioni per il sito http://languagestranslators.com/, ecc.

Buonanotte a chi mi legge da tempo, a chi mi legge da ora e soprattutto a chi sa leggere oltre la superficie!

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